Cinque castelli e cinque borghi sotto lo stesso cielo

LE VIE DEL MISTERO

lagosfondato_AndreaCristaldi

Il lago sfondato- foto di Andrea Cristaldi

Da Mussomeli a Palma di Montechiaro, passando da Sutera, Racalmuto, e Favara, tra anime vaganti e fantasmi che si materializzano, tanto da sembrare reali. Fermandosi alla fine alla Valle dei Templi.
Siamo tra Caltanissetta e Agrigento, nel bel mezzo della Sicilia più brulla, fra rocche, colline, feudi medioevali e cascinali, per un viaggio affascinante tra antichi borghi e castelli che svettano solitari aggrappati alle rocce, offrendosi a panoramiche magnifiche. Ma anche un pretesto per fare, assaggiare, vedere, sentire e partecipare, alla scoperta degli antichi sapori che la natura e la storia hanno consegnato a questo territorio. Una sorta di cammino multisensoriale e didattico, che attraverso il racconto di storie e leggende, visite e laboratori esponenziali, animati da cantastorie, diventa una risorsa disponibile per la vita e per il futuro. Anche per i viaggiatori più esigenti.<

Raccontiamo l’itinerario
info@e-migrantes.it tel. +39 0922.081810

LA PRIMA ESPERIENZA

castello_mussomeli_gero-salamone rabato_sutera4 ricotta_ecodelgusto.com

In cammino per Mussomeli, nella Riserva del “Lago sfondato”. Il viaggio comincia nel cuore del Vallone, a est del fiume Platani, dove si è subito accolti da un castello manfredonico, edificato nel 1300 da Manfredi III Chiaramonte, conte di Modica. La gente lo chiama anche “Nido dell’aquila” perché si incastona, a forma di nido, sulla cima di una rocca fino a mimetizzarsi con la pietra. Lo scenario è impervio, solitario, duro. È un punto di riferimento per coloro che si interessano di occulto perché sembra rileggere le tante storie crudeli che hanno riguardato le sue mura. Come l’assassinio della contessa di Carini, Laura Lanza, per mano del padre Cesare, realmente accaduto e documentato in un atto del 1563, conservato nella chiesa parrocchiale del paesino palermitano (leggi cosa succede); o la vicenda delle tre principesse murate vive per gelosia dal fratello, che tornando dalla guerra le trovò morte con le scarpe in mezzo ai denti (la leggenda);. Ma non sono le sole anime a vagare nel castello, materializzandosi di tanto in tanto. La gente ricorda ancora lo spagnolo don Guiscardo de la Portes, un altro “anima persa” del maniero, condannato a vagare sulla terra per mille anni (la storia).

La sosta degli antichi sapori L’itinerario procede lungo la strada per Sutera con una pausa in un cascinale della valle per assaporare i prodotti caseari del luogo: ricotta fresca, tuma e ‘pani cunzatu’ (pane caldo, olio e sale), offerti dalle mani garbate dei contadini, ritemprandosi con il vino liquoroso del posto.

In cammino per Sutera L’esperienza prosegue verso uno dei borghi più belli d’Italia, la blasonata Sutera, aggrappata ai fianchi del monte San Paolino, a una quindicina di minuti di strada da Mussomeli. Arrivando in paese, una lunga scalinata porterà in cima alla superba rocca, che sembra ergersi dal nulla. Lì una vista mozzafiato: il mare di Agrigento, le Madonie, l’altopiano di Enna e, nelle giornate più serene, sullo sfondo anche l’Etna.
Nello spiazzale della rocca paolina, un santuario diocesano, i resti di un castello e un monastero dominano il Vallone nisseno, dove per millenni si scontrarono mescolandosi, cultura greca, romana, bizantina, normanna e musulmana, mentre un campanone rintoccava per tutto “lu vallone”.
Il ritorno verso l’abitato è accompagnato dal racconto di alcune storie che i suteresi amano ricordare, come quella di “mamma Croce”nota a tutti, ai più anziani per averla conosciuta, ai più giovani per averne sentito parlare. Non era una fattucchiera e non accettava denaro per i suoi interventi terapeutici, ma la su notorietà fu tale che alla fine dovette lasciare il paese.
Nell’abitato, la tappa è il magico quartiere arabo di Rabato. Un districarsi di viuzze, gradinate ripide che si aprono ai bagli e agli “ascichi” (terrazze), dove s’affacciano tutti attaccati, gli uni con gli altri, dammusi e ghittene (le antiche case in gesso), che ricordano i villaggi berberi. Ogni anno, tra Natale e l’Epifania, pecorai (picurara), cantastorie, viddani (villani) e venditori (putiari) animano il quartiere e ogni angolo del paese diventa un presepe vivente, con i sapori e i profumi della cultura contadina e pastorale del Novecento.
Il laboratorio della cucina rurale A Sutera la cena si trasforma in una esperienza di gusto e ‘conoscenza’. Gli ospiti parteciperanno alla preparazione di un piatto tradizionale e lo chef illustrerà i prodotti utilizzati e le antiche pratiche di lavorazione. Poi, tutti a tavola, insieme a Nonò il cantastorie, per assaggiare la tipica minestra contadina di ceci o il ‘maccu’, a base di fave e verdure. E saziarsi alla fine con le frittelle ‘di famiglia’.

LA SECONDA ESPERIENZA

Castelluccio-Angelo-Cutaia Cultural-park arancini

In cammino per Racalmuto, la Regalpetra letteraria di Leonardo Sciascia, terra di salinai e zolfatari che ha dato i natali allo scrittore.
La seconda giornata porta dritto al Castelluccio svevo, che la gente chiama in dialetto “Castidduzzu”, dove le anime di certi ‘signurreddi’ dispettosi (i vecchi proprietari) pare che vaghino nelle notti d’estate, diffondendo dal pianoro strani lamenti e rumori di ferraglia.
A pochi chilometri dal Castelluccio si arriva in paese, sorto nel XIV secolo attorno ad un castello di epoca chiaramontana, che domina il centro storico. I viaggiatori sono subito accolti sul corso principale dallo scrittore racalmutese, raffigurato in una scultura a cielo aperto mentre passeggia con l’immancabile sigaretta tra le dita. Proseguendo: la chiesa Madre con i capolavori del pittore racalmutese Pietro D’Asaro (1579-1647); la lunga scalinata che sale al santuario di Santa Maria del Monte, da dove è possibile vedere anche la casa natale del letterato e quella delle zie; e la Fondazione Leonardo Sciascia, un’ex centrale elettrica restaurata che ospita una biblioteca di 5000 volumi, una pinacoteca di oltre 200 ritratti di scrittori e la corrispondenza di Sciascia con i più grandi intellettuali italiani del dopoguerra.
Uscendo dal borgo, si arriva alle tombe sicane, che molti chiamano anche “grotte di fra Diego La Matina”, di cui lo stesso Sciascia narrò le vicende nel suo libro Morte dell’inquisitore.
La sosta degli antichi sapori è dedicata allo scrittore e ai profumi che più amava: dagli arancini e la caponata alle sarde a “beccafico”, accompagnati dai vini locali. I più golosi potranno “lanciarsi” in una scorpacciata di tarallucci al limone, i dolcetti tipici di Racalmuto.

In cammino per Favara alla volta del castello Chiaramonte e del misterioso cunicolo che univa un tempo il “Palazzo” (così viene anche chiamato) al monte Caltafaraci, dove si racconta visse una gallina che faceva le uova d’oro. All’ingresso una misteriosa incisione su una lapide, che per molto tempo rimase indecifrabile, sembra riferirsi ad un tesoro nascosto. Una credenza popolare narra che una strega sarebbe apparsa a chi fosse stato in grado di interpretare “il graffito”. Al fortunato avrebbe posto delle domande, ma se fosse rimasta insoddisfatta dalle risposte lo avrebbe accecato lanciandogli negli occhi una manciata di sale.
L’esperienza prosegue verso il centro storico, rifiorito dopo un lungo periodo di abbandono grazie ai sette cortili della Farm Cultural Park realizzati da Andrea Bartoli e sua moglie Florinda: secondo il blog britannico di viaggi Purple Travel sono al sesto posto tra le più popolari destinazioni turistiche internazionali, dopo Firenze, Parigi, Bilbao, le isole greche e New York.
Si tratta di un parco culturale di impronta araba, dove le case piccole, bianche e con i tetti bassi, appiccicate una contro l’altra, si “ammantano” d’arte contemporanea, tra murales, installazioni, librerie e “spazi di pensiero” dedicati all’architettura, la grafica e il web design. Di tanto in tanto, si organizzano workshop, presentazioni di libri, concerti, spettacoli teatrali ed eventi legati all’enogastronomia d’eccellenza del territorio, passando dal vegano ai cibi slow e quelli di strada della più autentica tradizione siciliana.
Il laboratorio dei cibi di strada All’imbrunire, tra una chiacchierata e una passeggiata da cortile in cortile, il profumo intenso dell’arancina fritta e delle panelle, mescolato agli odori della cucina nordafricana, richiamerà gli ospiti ad una irresistibile esperienza sensoriale.

LA TERZA ESPERIENZA

castello-palma valle-dei-templi pastcc.convAdriano-Brusaferri

In cammino per Palma di Montechiaro, il paese del Gattopardo, per raggiungere l’ultimo castello, l’unico chiaramontano a sorgere a strapiombo sul mare. Costruito nel 1353, dopo la morte di Andrea Chiaramonte e la confisca dei suoi beni, il maniero fu trasferito alla famiglia Moncada, che ne cambiò il nome in rocca di Montechiaro. Il castello rimase poi in mano ai Tomasi fino alla morte del discendente Giuseppe Tomasi di Lampedusa (nel 1957), autore del famoso romanzo.
Ad ogni castello la sua leggenda. La più popolare è legata alla statua della Madonna (attribuita ad Antonello Gagini) custodita nella cappella della fortezza. Si racconta che nel 1553, ottanta sciabecchi, alla ricerca di tesori nascosti e capeggiati dal pirata Dragut, luogotenente di Solimano, dopo averla espugnata, rapirono la Madonna col bambino. Ma la statua, divenne miracolosamente così pesante che non poterono salpare e allora decisero di gettarla in mare dopo avere mozzato le due teste in segno di oltraggio.
Tornando in paese, che sorge su una collina, l’escursione prosegue nei luoghi descritti dal Gattopardo, la cui architettura celebra il profondo misticismo della famiglia Tomasi. Tra Santi e antenati, il percorso inizia con la visita della Chiesa Madre; prosegue verso la chiesetta di Maria Santissima del Rosario e il monastero delle Benedettine, che accoglie le figlie e la moglie del ‘Duca Santo’ (il principe Giulio Fabrizio Tomasi), dove gli ospiti potranno assaggiare i particolari dolcetti conventuali a base di mandorle preparati dalle monache. Il cammino chiude a palazzo Ducale per ammirare gli oggetti d’arte appartenuti alla famiglia Tomasi, immagini e manoscritti dello scrittore e fotogrammi del film di Luchino Visconti tratto dall’omonimo romanzo.
Il laboratorio del Gattopardo ‘A cena con Giuseppe Tomasi di Lampedusa’ e i piatti descritti nel romanzo, dal timballo di maccheroni e gli “ovetti duri” al tacchino dorato con le soffici salse. Per finire, il “trionfo della gola”: “la gelatina al rum preferita dal principe”, il “verde opaco dei pistacchi macinati” e “il biancomangiare” con zucchero e cannella. Ovviamente, accompagnati dai colorati Rosoli della tradizione.

La destinazione finale è Agrigento per un pomeriggio di riposo e di libertà. Ma non appena si fa scuro c’è un ultimo cammino di grande emozione che porta alla Valle dei Templi per una particolare esperienza notturna tutta da scoprire.

 

LEGGENDE O REALTÀ?

Dcast.Muss.-Panoramio.com

La baronessa di Carini Si narra che Laura, moglie del barone di Carini, fu uccisa per difendere l’onore del Casato, dal padre don Cesare Lanza conte di Mussomeli, dopo averla sorpresa con il suo amante Ludovico Vernagallo di
Montelepre.
Pentitosi di aver commesso un atto così atroce verso la propria figlia, decise di rifugiarsi nel castello di Mussomeli per espiare la sua colpa, non pensando di essere seguito fin lì dallo spettro della figlia.
Gli anziani raccontano che una giovane donna, dalle perfette sembianze umane ed elegantemente vestita con un’ampia gonna di seta e un corpetto coperto da uno scialle ricamato, vaghi ancora tra le stanze, materializzandosi di tanto in tanto in forma talmente reale che, se non fosse per il suo abbigliamento cinquecentesco, la si potrebbe confondere per una qualsiasi vivente. Sembra che l’atroce assassinio sia realmente accaduto e certificato da un documento del 1563 conservato nell’archivio della chiesa Madre di Carini, in provincia di Palermo.
Tuttavia, il conte non pagò mai per il delitto commesso e il genero, Il barone di Carini, dopo poco tempo si risposò.

“La Cammara di li tri donni” La leggenda racconta di Clotilde, Margherita e Costanza, tre principesse murate vive per gelosia, in una delle stanze del castello di Mussomeli, dal fratello Federico prima di partire per la guerra. Si dice che il principe lasciò loro il cibo necessario per un periodo abbastanza lungo, ma la guerra si protrasse più del previsto e la scorta di viveri non fu più sufficiente. Non potendo chiedere aiuto, per la fame le tre sorelle tentarono di mangiarsi le scarpe. Finita la guerra il principe ritornò e le trovò morte con le scarpe strette in mezzo ai denti. Da allora quella stanza è chiamata la cammara di li tri donni (la stanza delle tre donne), pare che nelle notti di plenilunio sia possibile udire i lamenti delle loro sofferenze e le urla del fratello che grida alla luna la sua rabbia per il rimorso.

Don Guiscardo e Pasquale Era il 19 luglio del 1975, quando un fantasma apparve nel maniero per la prima volta a Pasquale Messina (detto il custode), pregandolo di non avere paura. Il fantasma in questione è Guiscardo De La Portes, un soldato spagnolo morto nel 1392 e condannato da Dio a vagare sulla terra per mille anni. Aveva sposato la bella Esmeralda de Loyoza, ma solo da morto era diventato papà di una bambina, che per il lutto fu chiamata Maria Dolores.
Sembra che Messina abbia saputo tutto ciò dallo stesso Guiscardo. Secondo la sua ricostruzione, il soldato, unico figlio di un ricco mercante, era nato
in Spagna nel 1370; aveva studiato in collegio dai frati a Madrid; e la sua bellissima amata si chiamava Esmeralda. Ma quando si sposarono, mentre la donna portava in grembo il suo primo figlio, il Re Martino, nel 1392, lo portò con il suo esercito a sedare le proteste in Sicilia. Dopo la cattura di Andrea Chiaramonte, che si opponeva all’ingresso dei reali a Palermo, Guiscardo si avviò verso Manfreda. Durante il viaggio incappò in alcuni soldati che lo inseguivano, erano gli uomini di don Martinez, l’innamorato respinto dalla sua Esmeralda. Per salvarsi si inoltrò nel bosco, ma cadde da cavallo e si ruppe una gamba che andò in cancrena. Invece di pregare, da buon cattolico, prima di morire bestemmiò contro Dio. Moribondo e avvolto in una luce fu avvicinato da quattro spiriti vaganti che lo riportarono indietro: era stato condannato a vagare per avere imprecato.
Già dalle prime apparizioni, sembra che Guiscardo avesse chiesto a Pasquale, in modo categorico, di non rivelare a nessuno della sua materializzazione, altrimenti non lo avrebbe più rivisto.
Solo nel 1992 gli concesse la libertà di raccontare al mondo dei loro incontri, ma a due condizioni: non bestemmiare e aiutare sempre bisognosi.

Testi e foto pubblicati potranno essere utilizzati previo consenso e citando la fonte. Il Distretto Turistico Valle dei Templi si dichiara disponibile a regolare eventuali pendenze relative ad illustrazioni con gli eventuali aventi diritto che non è stato possibile reperire.