Milena, dove il tempo si è fermato alle robbe

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L’arte della tessitura a mano di una milocchese 

SICILIA DELLE MERAVIGLIE Non inseguire il tempo a Milena è un’arte. Quando s’arriva, salendo per una stradella tortuosa di un pendio aperto, il calendario si ferma a un’ottantina d’anni fa. Ieri era Milocca, per circa un anno fu Littoria Nissena, oggi si chiama Milena: poco più di tremila anime sparse tra un centro urbano e tredici villaggi, che la gente del luogo chiama ancora robbe. Dove ciascuno, anche chi la terra non l’ha mai zappata, coltiva ancora vicino casa il proprio orto, tra le rose e le violacciocche porporine, con la serenità bucolica di una volta.
Unico e misterioso, l’antico borgo sorge nell’entroterra siciliano del nisseno, nel cuore della riserva naturale Monte Conca, tra le colline coltivate a grano e le acque del fiume Gallo d’Oro, a  una manciata di chilometri dalla più frenetica e magnifica Agrigento, che non rimanda però i suoi effetti. A rimettere in moto la macchina del tempo nel paesino solo la presenza di qualche milocchese che, di tanto in tanto, si può incontrare per strada e di qualche cane che sonnecchia accoccolato tra il bar della piazza e la Chiesa Madre. Ogni cosa appare sospesa in uno spazio senza tempo e sembra evocare quell’antica atmosfera di robbe e brigantaggio, quando la vita reale dei cascinali si intrecciava con il mistero di storie e leggende, che vivono ancora tramandate dai racconti degli abitanti.
Milena, che deve il suo nome al Re d’Italia Vittorio Emanuele III, quando nel 1933 lo volle dedicare alla suocera, la regina Milena del Montenegro, nacque dalla fusione delle frazioni di Milocca e San Biagio, che appartenevano rispettivamente a Sutera e Campofranco. Due paesini che a loro volta includevano ben 57 robbe, a cui vennero attribuiti inizialmente nomi o soprannomi dalle famiglie che le avevano edificate. Spesso, a molti chilometri di distanza fra loro ma autonomi e funzionali ai propri bisogni, i cascinali si erano sistemati con un cortile attorno in modo da difendersi dal banditismo. Nel 1928, tutti gli isolati vennero raggruppati in tredici villaggi più un centro urbano e ciascuno prese il proprio nome da vicende o personaggi della storia nazionale, secondo lo spirito dominante dell’epoca: Centro Urbano, San Martino, Vittorio Veneto, Cavour, Piave, Crispi, Roma, Monte Grappa, Cesare Battisti, Masaniello, San Miceli, Mazzini, Garibaldi, Balilla.
L’assetto del borgo è rimasto quasi invariato. Anche se alcune robbe si sono saldate al centro urbano, i villaggi di oggi sono una chiara testimonianza della vita contadina di un tempo: restano ancora piccoli mondi rurali “chiusi”, come quando erano abitati dal proprietario del feudo e dai guardiani (rubbittieri) che controllavano gli interessi del padrone. Una cultura rurale profonda e radicata che si ritrova anche nella letteratura più recente dello scrittore Leonardo Sciascia, che nel suo libro “Occhio di capra” usa l’appellativo Milucchisi come sinonimo di contadini.
Di grande fascino, il villaggio Montegrappa, detto robba Magaru, con i suoi antichi manufatti in gesso; e il villaggio Masaniello, chiamato robba Ranni, dove si trova la “Casa Museo della Civiltà Contadina”, realizzata in un dammusu, un prezioso esempio di antica unità abitativa che custodisce importanti reperti della cultura dell’abitare, dagli gli attrezzi di lavoro per la lavorazione della terra, della lana e del il lino, agli utensili di lavoro delle massaie.
In paese, merita una visita l’Antiquarium, dedicato all’archeologo e studioso del luogo Arturo Petix. Il museo custodisce le testimonianze di settemila anni di insediamenti provenienti da molti siti archeologici, grazie ai quali si sono ricostruite le vicende storiche del territorio, a partire dall’età neolitica (IV millennio a.C.). Una semplice passeggiata nelle campagne sarebbe sufficiente a rendersi conto di toccare con mano le impronte lasciate a Milena dai Romani, dai Bizantini, dagli Arabi e dai Normanni.
Rimanendo nell’abitato, da visitare la Chiesa Madre, in piazza Garibaldi, costruita per accogliere un maggior numero di fedeli rispetto alla chiesetta del monastero di San Martino (XV secolo), che fino al 1860 fu l’unico centro di aggregazione religiosa, culturale ed economica del paese. Per realizzarla si spesero tremila, grazie alle offerte degli abitanti e del loro personale contributo nel trasporto delle pietre: la domenica, prima della messa, gli uomini con gli animali da soma e le donne, guidati dal parroco, andavano in processione alla cava di Rocca a prendere ciascuno una pietra per portarla in cantiere. La prima fu posata il 3 luglio del 1870 e il 19 marzo 1881 fu aperta al culto, ma i lavori furono ultimati solo nel 1931 con la realizzazione di cinque altari laterali sormontati da nicchie, in tre delle quali si trovano le opere dello scultore Biangardi.
Uscendo dal centro urbano, invece, vale la pena raggiungere le due tombe a thòlos del Palco-Campanella, che risalgono  all’età tarda del Bronzo (XIII sec. a.C.) e rinvenute casualmente: la prima nel 1949, la seconda nel 1971. Una scoperta che conferma l’ipotesi dell’insediamento di colonie Cretesi, in Sicilia, verso il 1200 a.C., prima per rapporti commerciali e poi in forma definitiva.
La natura ha regalato a Milena anche un grande paradiso. Si tratta della riserva integrale Monte Conca, attraversata interamente dal fiume Gallo d’Oro. Un’oasi naturale, con una rete sentieristica di circa 17 chilometri, che offre una serie di suggestioni di ordine archeologico, antropico e morfologico. Si può assistere a singolari fenomeni carsici sotterranei: l’erosione dell’acqua, nel corso dei millenni, corrodendo le rocce gessose, ha scavato nella montagna due grotte: l‘Inghiottitoio e la Risorgenza.