Ad Acquaviva Platani, seguendo il corso dell’acqua

foto aperturaSICILIA DELLE MERAVIGLIE Si specchia nella vallata del fiume omonimo. Un tempo era Aqua Vivam per l’abbondanza delle sue sorgenti, poi divenne Acquaviva fino al 1862, finché si chiamò Acquaviva Platani per distinguerla dagli altri paesi omonimi d’Italia. Siamo in terra Nissena, nel cuore della Sicilia che commuove, in un luogo incredibilmente bello. Tanto bello da scomodare la Madonna della Luce per trovare un posto fresco dove mettere la prima pietra di una residenza estiva, alcune case e una Chiesa dedicata alla Vergine.

Era il 20 giugno del 1635, quando don Francesco Spadafora, assieme alla principessa Lucrezia Sanseverino, dopo una nottata insonne per l’afa asfissiante della sua dimora, nell’antico casale berbero “Michinese”, che si trovava un po’ più giù da Acqua Vivam, decise di fondare in quell’angolo di vallone un paesino, affidandosi ai buoni consigli della Regina Madre di Dio.

Nacque così Acqua Vivam, fresca e solitaria, tra i monti Sicani, le miniere di zolfo e di salgemma che tanto diedero e tanto presero dalla gente del luogo e dei borghi vicini, vicino alle acque pescose del fiume Platani. Il Halykòs (salato) dei Greci, che risalivano alla ricerca di sale, tra nibbi, aquile e peonie e che, già dai tempi dei Sicani, scorre ancora da Pizzo della Rondine fino a dissolversi dopo 115 chilometri nel Mediterraneo.

Eppure, poco si sa della vita e dell’ambiente di questo fiume, che nell’ultimo corso attraversa oggi la riserva naturale della Foce del fiume Platani per oltre 200 chilometri, dove si rifugia una ricca fauna e una flora rigogliosa offre il primo riparo agli uccelli migratori provenienti dall’Africa.

Un tempo erano i luoghi di Quasimodo in cui si dissolveva l’inquietitudine da emigrato del poeta modicano, che nella vallata dell’Alico, nella piccola stazione del paesino, dove il padre lavorava da ferroviere, trascorse parte della sua fanciullezza. C’era poco e niente allora, due binari, una biglietteria e un paio di stanze che servivano a tutto, ma c’era la bellezza di quel pianoro e della sua gente, che il premio Nobel ricorda in “Che vuoi Pastore d’aria?”. Lo stesso pianoro caro a Elio Vittorini, anche lui figlio di ferroviere e costretto a spostarsi da una casa cantoniera all’altra.

Oggi sono i luoghi di cui possono godere le mille anime che vivono nel piccolo centro urbano, diventato comune autonomo dopo l’abolizione della feudalità in Sicilia nel 1812. Una passeggiata tra le vie del borgo porta dritto i viaggiatori al settecentesco Palazzo Ducale e alla Torre dell’Orologio, progettata nel 1860 e costruita sulla demolizione di un torrione che faceva parte del castello del principe Spadafora.

È piccola Acquaviva Platani, ma sorprende. Basta seguire la “via delle miniere”, lasciandosi emozionare dalle testimonianze toccanti di un museo, che racconta il duro lavoro dentro le cave buie e umide dei tanti solfatari e salinari che vi lavorarono, la loro difficile vita e la loro triste partenza col bastimento quando chiuse la cava di sale “Spina”. Vestiti da lavoro, perforatrici e altri oggetti raccontano di quando erano costretti, per il gran caldo, a stare nudi sottoterra per estrarre le pietre di zolfo e di salgemma, respirando gas e illuminandosi dalla flebile luce delle “citalene” (lumi a petrolio). Ci sono bauli e valigie di cartone, ritagli di giornali, fotografie, lettere, documenti, passaporti di quanti hanno vissuto il dolore dell’emigrazione, che Acquaviva Platani e i paesi del vallone hanno vissuto più che altrove in Sicilia negli ultimi anni del 1800. Una volta lontani, in Paesi nuovi e sconosciuti, unico conforto per loro fu la Chiesa, che ebbe un ruolo centrale nel tenere vivo il legame con gli acquavivesi sparsi per il mondo, soprattutto in Francia e nel Regno Unito, grazie alla devozione per la Madonna delle Grazie, protettrice degli emigrati. Una religiosità rimasta intatta anche per gli acquavivesi rimasti, diventata parte integrante di quei valori culturali da difendere e proteggere. È una fede che soffia tra le stradine dell’antico casale Michinese a più riprese e con diverse celebrazioni.

La più recente risale al 2014. È la Breccialfiorata del Corpus Domini: un’infiorata che adorna i quartieri realizzata, non con fiori freschi, ma con della breccia colorata e incollata su pannelli di legno dagli artisti locali per rappresentare scene liturgiche e immagini sacre.

Tra agosto e settembre si svolgono ben tre celebrazioni.
La prima domenica del mese nella chiesa rurale della Madonna delle Grazie, costruita nel 1890, il simulacro viene portato in processione dopo la messa e per tutto il periodo estivo la chiesetta diventa meta di numerosi pellegrini.
Il venerdì antecedente la terza domenica dello stesso mese si festeggia Maria SS. Annunziata (A Madonna di li Salinari, in siciliano), protettrice dei minatori. I riti solenni sono allietati dalle esibizioni dei tamburinari e della banda locale, da spettacoli, fuochi d’artificio e dalla degustazione del piatto del “salinaro”, la zuppa di ceci.

A settembre, invece, si svolge la festa del SS. Crocifisso delle Grazie, il patrono di Acquaviva Platani: il simulacro del Crocifisso viene portato in processione per il borgo accompagnato dall’immancabile banda musicale e da fuochi d’artificio.

Un po’ di storia Le storia delle vallate del Platani iniziano con civiltà indigena Sicana. Le testimonianze più significative della presenza umana arrivano dalle tombe a rannicchiamento ritrovate in contrada “Vignazze”, quelle a grotticella rinvenute nelle contrade “Solfara” , ”Cubuluni” e “Corvo” e la sepoltura a tholos in contrada Santa Margherita; e dal casale berbero “Miknas”, costruito durante la dominazione araba, che in età medioevale divenne il feudo Michinese, di proprietà fino al 1425 delle nobili famigli messinesi De Loharia e Castelli.

La Signoria del fondo poi passò al principe Francesco Spadafora, che vi fondò, un po’ più in alto, Acqua Vivam. Quando morì, nel 1677, per problemi economici, il feudo fu venduto all’asta e acquistato dalla baronessa Francesca Abarca. Quando morì, nel 1687, l’eredità passò al nipote Michele Oliveri, che ottenne da Carlo II il prestigioso titolo di duca di Acquaviva. Una volta abolita la feudalità Acquaviva Platani acquistò la sua autonomia.

di Stefania Sgarlata