Caltanissetta, la Sicilia dei misteri, dello zolfo e del grano

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Credit Daniele Rosapinta

SICILIA DELLE MERAVIGLIE È la Sicilia dello zolfo e del frumento. Ma anche un crogiolo di leggende, misteri e dicerie che raccontano cinquemila anni di storia difficili da ricostruire perché poche le testimonianze. Siamo al centro dell’isola, a Caltanissetta, tra le colline gialle d’inverno e verdissime in primavera; tra le campagne sperdute, le strade e i palazzi che ci ricordano un po’ di medioevo e un po’ di rinascimento.

Sono poche le certezze su questo capoluogo dell’Isola, soprattutto della sua vita preistorica, ma evidenti sono le preesistenze sicule e sicane, confermate dai reperti del Museo Archeologico, e le origini arabe del suo nome: da Qalʿat an-nisāʾ, la Rocca delle donne. Che assieme al castello di Pietrarossa, in cima alla vallata del Salso, ci racconta un pezzo di storia della città, da quando era un piccolo borgo vocato alla coltura del grano, lontano dall’atmosfera chiassosa delle aree commerciali e dalle razzie dei predoni perché troppo distante dall’unico sbocco a mare: il golfo di Gela. Oggi è come allora. C’è solo il gran silenzio dell’autenticità della sua natura e dei siti di archeologia industriale legati al mondo delle miniere, che si svelano in un patrimonio gastronomico, spesso unico, e nell’atmosfera sacrale di quelle “pirrere” (zolfare) dismesse dove persero la vita tanti minatori e “carusi” (ragazzi). Natura e zolfo: i due punti cardinali del territorio. Che si arricchiscono però dei lasciti di Leonardo Sciascia ed Elio Vittorini, di quando trascorsero lì parte della loro giovinezza. È la Caltanissetta letteraria, quella del Parco letterario Regalpetra, che oggi rivive in diversi itinerari, a partire da Racalmuto, il paese natale di Sciascia, e prosegue nei luoghi del capoluogo che lo scrittore abitualmente frequentava.

Insomma, parole sante quelle di Goethe, “L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nell’anima”. Perché è proprio da queste parti che quelle parole si possono ritrovare: tra i colli e le trazzere frequentati un tempo da cavalieri e pellegrini. Posti poco battuti ma dall’atmosfera un po’ speciale. Come il Santuario di Castel Belici, l’ex monastero che custodisce nella sua chiesa un crocifisso considerato miracoloso dai tanti pellegrini che ogni anno, il 3 maggio, arrivano lassù in cima al colle per venerare la statua del Cristo. Molti arrivano piedi in segno votivo per legare un nastrino rosso al Crocifisso, affidandogli le richieste di grazia o di protezione. Una ritualità che si unisce alla messa, alla processione e alla convivialità della condivisione di un pasto veloce all’aria aperta a base di panini e panelle o con salsiccia venduti sul posto dagli ambulanti. Perché buon cibo, folclore e devozione a Caltanissetta sono inseparabili. Per entrare nel vivo di tutte le cerimonie liturgiche significa anche consumare i piatti della tradizione popolare inseriti a pieno titolo tra i riti delle feste religiose. Così è per San Giuseppe, Santa Lucia o Santa Rita, quando le tavole delle famiglie diventano il desco “dei Santi” con le specialità devozionali preparate per l’occasione. È il caso delle “spine sante” e delle “crocette di Pasqua”, i due dolcetti conventuali che diventano “segni sacri” in occasione della Settimana Santa, quando la città si trasforma in un grande teatro di antiche ed emozionanti rappresentazioni con la processione della Real Maestranza e la sfilata delle “Varicedde” (leggi la storia e le celebrazioni).

Ma siamo nell’entroterra, con le sue leggende e suoi segreti. In posti dove difficilmente s’incontrano i turisti impazienti, amanti di spiagge e locali affollati, o i viaggiatori smaniosi solo d’arte e di cultura. Caltanissetta è dei più curiosi, di chi si lascia rapire dalla bellezza di un paesaggio brullo o dal mistero di presenze che aleggiano dentro e fuori la città, o dai segreti di tesori rimasti sepolti nelle campagne e nelle ex miniere. Come quello legato all’antico detto locale: “Sabucina è d’oro china” (Sabaucina è piena d’oro). Leggenda vuole che un pastorello cercasse la sua pecora smarrita vicino all’attuale Parco archeologico di Sabucina, sul monte omonimo, a pochi chilometri dalla città. Arrivata la sera, non avendola ancora ritrovata, si rintanò in una grotta per dormire, ma un gran chiasso lo spinse fuori dalla caverna. Sbigottito, si ritrovò nel mezzo di una fiera dove si vendeva di tutto, la stessa fiera che oggi si svolge ogni anno a mezzanotte in punto e che la gente chiama “la fiera fatata”. Con i pochi soldi che aveva comprò delle arance, trovò poi la sua pecora e se ne tornò a casa. Raccontò ogni cosa al padre, che incuriosito volle vedere quelle arance; le sbucciò e con grande sorpresa scoprì che erano tutte d’oro. A quel punto, il ragazzo tornò alla grotta aspettando il richiamo del trambusto della fiera, ma non accadde nulla. Amareggiato uscì fuori, ma una torma di cornacchie lo assalì per la sua avidità.
Passando invece al volto più inquieto della città e ai racconti di presenze sinistre, la storia più recente è accaduta in una casa disabitata da tanti anni in via XX Settembre, nel cuore della città. Da lì, secondo la gente del quartiere arrivavano di continuo lamenti e pianti, rumori come di piatti in frantumi e porte sbattute. Tanto forti che l’edificio fu ispezionato e tenuto sotto controllo. Non fu rilevata alcuna di presenza umana, ma l’ingresso fu sbarrato. Qualcuno dice di sentire ancora rumori e di vedere di tanto in tanto una flebile luce filtrare dalle finestre.

Un po’ di storia. Tornando al toponimo della città, l’araba Qalʿat an-nisāʾ nell’XI secolo con l’arrivo dei Normanni si trasformò in feudo e il suo nome latinizzato divenne Calatenixet (o Calatanesat); alla fine del XII secolo divenne Caltanixettum e da lì Caltanissetta.

Grazie alla famiglia Moncada, dal XV secolo per il feudo iniziò una fase di benessere, leggibile dall’assetto urbano e dai monumenti costruiti a quel tempo, come la Chiesa Madre (oggi Cattedrale). Ma l’esplosione economica arrivò solo a partire dall’Ottocento, quando Caltanissetta si affacciò al mondo come la “capitale mondiale dello zolfo”, al centro della geografia zolfatara, tra Enna e Agrigento. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento l’ex miniera Trabonella, assieme a quella più antica di Gessolungo, era considerata il giacimento più importante dell’Isola. Su quell’area oggi grava il vincolo minerario e paesaggistico della Media Valle del Salso (o Imera Meridionale) per l’interesse geologico e perché indissolubilmente legata alla storia delle “civiltà minerarie”. Quasi a rappresentare un compendio di tutte gli errori e le contraddizioni di oltre due secoli, ma anche delle innovazioni che caratterizzarono lo sfruttamento delle vene solfiere siciliane.

La Settimana Santa a Caltanissetta

I festeggiamenti iniziano con le affascinanti rappresentazioni teatrali del Lunedì e del Martedì Santo ed entrano nel vivo il Mercoledì Santo con la processione della Real Maestranza, che si svolge sin dal ‘500 ed è stata dichiarata “reale” per decreto di Ferdinando IV nel 1806.